A. Agresti - La Filosofia nella letteratura moderna. - Torino, F.lli Bocca, 1904.
p. 29
Dinanzi a questo libro io mi sono persuaso definitivamente della povertà della lingua italiana. Non c'è una parola la quale possa indicare il genere speciale, particolare, indefinito al quale appartiene questo libro. Manca un aggettivo in cui siano riunite le idee di ignoranza, disordine, presunzione, equivoco, pseudocultura, ciarlatanismo, confusione, mancanza di gusto, di tatto, di senso dei tempi et similia.
Il soggetto del libro sarebbe magnifico. Si poteva tentare per la prima volta una traduzione speculativa delle creazioni letterarie - preludere a quella scoperta dell'unità fondamentale delle attività umane ch'io vo preparando da un pezzo, - fare delle scoperte di affinità o di contrasti che non sogliono vedere gli storici comuni delle letterature.
Invece l'Agresti ha fatto il più comico guazzabuglio che sia dato immaginare, il più nauseabondo pasticcio, il più insipido e schiumoso cibreo che da gran tempo la cultura italiana, pur così anemica, abbia prodotto.
Il signor Agresti ha simpatia, credo, per la Commune e in genere per la democrazia. E questo suo libro mi dà l'idea perfetta della cultura democratica e comunista quale può uscire dal cervello di un visionario pretensioso, nutrito di riviste di varietà e di corsi di università popolari: la confusione superficiale condotta all'apoteosi del sentimento umanitario.
Me ne dispiace sul serio per la filosofia, e anche per la letteratura, la quale, infine, gli aveva portato fortuna.
Il miglior libro del signor Agresti non rimane forse la Vita Nuova di Dante Alighieri, illustrata coi quadri di Dante Gabriele Rossetti?.
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